DIETRO LA PORTA
Quest’opera nasce da una domanda apparentemente semplice, ma non lo è: cosa succede allo spazio che ci lasciamo alle spalle quando chiudiamo la porta di casa?
Dietro la porta, nel momento in cui si chiude, quello che un tempo era uno spazio vissuto inizia a trasformarsi. Diventa un’assenza silenziosa. Gli oggetti rimangono, ma non si vedono più. Le stanze persistono, ma come se si ritirassero in se stesse, lontane dallo sguardo.
L’opera non vuole rappresentare un interno domestico, ma evocare uno spazio svuotato, il momento in cui la presenza cede il passo alla memoria. È il luogo abbandonato che inizia a parlare, non attraverso le cose, ma attraverso l’atmosfera che vi si accumula.
Non si tratta di nostalgia, ma di una riflessione sul tempo sospeso, sul vuoto come spazio attivo, che custodisce tracce e risonanze.
Panofsky ha scritto che ogni rappresentazione dello spazio è anche una costruzione mentale. In questo senso, i pannelli sagomati non sono semplici superfici su cui dipingere, ma tentativi di dare forma a uno spazio interiore – percepito, incarnato, sedimentato nella memoria.
Ogni dipinto è una soglia, un frammento che cerca di trattenere ciò che solitamente sfugge: l’istante in cui un luogo cessa di essere abitato, ma non cessa di esistere.
Lì, nella distanza tra lo sguardo e ciò che è rimasto indietro, un’altra presenza prende forma. Silenziosa. Invisibile. Persistente.