DIETRO LA PORTA/BEHIND THE DOOR

DIETRO LA PORTA 

Quest’opera nasce da una domanda apparentemente semplice, ma non lo è: cosa succede allo spazio che ci lasciamo alle spalle quando chiudiamo la porta di casa?

Dietro la porta, nel momento in cui si chiude, quello che un tempo era uno spazio vissuto inizia a trasformarsi. Diventa un’assenza silenziosa. Gli oggetti rimangono, ma non si vedono più. Le stanze persistono, ma come se si ritirassero in se stesse, lontane dallo sguardo.

L’opera non vuole rappresentare un interno domestico, ma evocare uno spazio svuotato, il momento in cui la presenza cede il passo alla memoria. È il luogo abbandonato che inizia a parlare, non attraverso le cose, ma attraverso l’atmosfera che vi si accumula.

Non si tratta di nostalgia, ma di una riflessione sul tempo sospeso, sul vuoto come spazio attivo, che custodisce tracce e risonanze.

Panofsky ha scritto che ogni rappresentazione dello spazio è anche una costruzione mentale. In questo senso, i pannelli sagomati non sono semplici superfici su cui dipingere, ma tentativi di dare forma a uno spazio interiore – percepito, incarnato, sedimentato nella memoria.

Ogni dipinto è una soglia, un frammento che cerca di trattenere ciò che solitamente sfugge: l’istante in cui un luogo cessa di essere abitato, ma non cessa di esistere.
Lì, nella distanza tra lo sguardo e ciò che è rimasto indietro, un’altra presenza prende forma. Silenziosa. Invisibile. Persistente.

 

 

 

CARTOGRAFIE DEL POSSIBILE

URBAN

Urban 2 Jarach Gallery Venezia Elena Armellini

La serie Urban nasce da un’esigenza visiva e concettuale che pervade tutta la pratica di Elena Armellini: un confronto serrato con l’inaspettato, con lo spazio e con la materia. In queste opere, l’artista affronta l’urbanizzazione come metafora dell’instabilità contemporanea, costruendo strutture che sembrano poggiare su fondamenta incerte, sospese tra equilibrio e crollo. Si tratta di installazioni che non imitano la città, ma ne evocano l’anima instabile e frammentata.

Le opere si dispiegano in piattaforme che comunicano attraverso uno spazio dilatato, quasi rarefatto, come un’architettura mentale che prende forma attraverso la materia. Il loro linguaggio è fatto di equilibri precari e linee spezzate, creando tensioni silenziose, come se ogni elemento potesse crollare da un momento all’altro. L’atmosfera che ne deriva è quella di un paesaggio post-industriale, un parco divertimenti abbandonato dove l’euforia della costruzione si è dissolta nell’anticipazione del disastro.

La materia – cemento, tondini di ferro, legno – diventa portatrice di questa tensione. Nulla è nascosto o levigato: ogni superficie porta le tracce del processo, dell’urgenza costruttiva, del tempo che incalza sulla materia. Questi elementi grezzi e brutali, trattati con gesti essenziali, diventano testimoni di una memoria collettiva compressa, di una città mentale in cui l’elemento urbano viene smantellato, ridotto all’osso, trasformato in simbolo.

Urban è, quindi, una cartografia dell’incertezza. Una rappresentazione dello spazio urbano non come scena abitabile, ma come campo in cui le strutture del nostro tempo – economiche, emotive, sociali – tremano, si fratturano e si rimodellano. Le opere sollevano una domanda inquietante e urgente: cosa tiene veramente insieme la forma del nostro presente?

 

CARTOGRAFIA DEL POSSIBILE

Kublai Khan non crede necessariamente a tutto ciò che Marco Polo dice quando descrive le città visitate durante le sue spedizioni, ma l’imperatore tartaro continua ad ascoltare il giovane veneziano con maggiore attenzione e curiosità di quanto non ne mostri verso i suoi messaggeri o esploratori. Nella vita degli imperatori, c’è un momento che segue l’orgoglio per l’infinita distesa dei territori conquistati, e la malinconia e il sollievo di sapere che presto abbandoneremo ogni pensiero di conoscerli e comprenderli. C’è un senso di vuoto che ci pervade la sera, con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e le ceneri di sandalo che si raffreddano nel bronzo.

 

 

TRACCE DELL’ INTANGIBILE

TRACCE
2022

ceramica smaltata tracce piastrella segmentata con tracce di pizzo ingobbiato

Fragili come la pelle del tempo, questi frammenti di ceramica emergono come reliquie di un gesto, di una forma che non cerca la perfezione, ma la sopravvivenza. Sono, infatti, resti. Le tracce lasciate da un passaggio, un contatto, un abbandono.

La superficie – screpolata o erosa – parla di ciò che è andato perduto e di ciò che rimane. Le crepe diventano mappe, il tessuto imprime un ricordo del corpo e delle mani. Il bianco, una linea interrotta da flebili tracce di colore, evoca ciò che il tempo ha cancellato ma che persiste come eco visiva, testimonianza silenziosa.

Queste opere non raccontano storie, sussurrano. Non gridano significati, ma aprono spazi all’ascolto. Si presentano come reperti parziali, artefatti inclassificabili che resistono all’erosione dell’oblio. Il titolo – Remnants – è sia una dichiarazione che una domanda: cosa rimane oggi di ciò che eravamo un tempo? Cosa rimane di un gesto, di un’abitudine, di una presenza?

Nella loro apparente immobilità, queste forme sembrano continuare a trasformarsi. Portano il peso di ciò che non c’è più, ma portano anche la forza sottile di una bellezza che non esige centralità. Una bellezza che si ritrova nei bordi consumati, nelle assenze, nei vuoti.

Non sono opere finite: sono ciò che sopravvive all’opera stessa.

 

L’INFANZIA RESTA TRACCE DELL’INTANGIBILE
2007

cement stones installation childhood fossil games

Gli oggetti dell’infanzia – quelli che un tempo abitavano le nostre stanze e riempivano i nostri giochi – riaffiorano in queste opere come metonimie della memoria, segni tangibili di ciò che eravamo e, in parte, siamo ancora. Nelle mani dell’artista, questi frammenti diventano catalizzatori di memoria, condensazioni simboliche di paure primordiali, fantasie visionarie e sogni troppo fragili per resistere al passare del tempo.

Attraverso un processo di stratificazione materica, l’artista costruisce un paesaggio visivo in cui superfici ruvide – cemento, gesso, pigmenti – si aprono rivelando tracce sommerse. Oggetti perduti, figure ibride e creature fantastiche emergono come reperti archeologici di un tempo interiore. È uno scavo simbolico, in cui ogni gesto artistico corrisponde a un gesto di memoria, un tentativo di riportare l’infanzia non come un’immagine nitida, ma come una presenza poetica, un’eco.

La memoria, in queste opere, si manifesta non come un archivio ordinato, ma come una nebbia. Le forme sono incerte, la loro consistenza inquieta, priva di contorni definiti: lo sguardo è invitato a un atto di ricostruzione, un esercizio di attenzione e tenerezza. L’ambiguità diventa la chiave espressiva, come se il passato non potesse mai tornare veramente, ma solo essere evocato attraverso indizi, impronte e risonanze emotive.

I materiali ruvidi e spigolosi, scelti proprio per la loro capacità di rivelare e nascondere allo stesso tempo, creano un contrasto tra la durezza del materiale e la delicatezza del contenuto. È in questa tensione che si rivela il significato più profondo dell’opera: l’infanzia è rappresentata non come un’innocenza idealizzata, ma come una rovina vivente, come ciò che sopravvive sotto strati di tempo, oblio e trasformazione.

Ogni opera è, in definitiva, un piccolo monumento all’intangibile. Un fragile ma tenace atto di resistenza all’oblio. Un tentativo di ricucire la distanza tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati.

 

RESTI
2022

“Christiane”
Gesso e tessuto – Dimensioni variabili – Due elementi a pavimento, liberamente posizionabili anche a distanza

Quante volte il tocco ha esitato sulla superficie di quel tessuto, tracciandone ogni piega come mappe incerte della memoria. Ora giace abbandonato. Eppure, nel suo abbandono, qualcosa emerge.

Come una reliquia dissotterrata da strati silenziosi, il tessuto solidificato nel gesso diventa una scoperta. Non più oggetto d’uso, ma traccia. Non più copertura, ma impronta. Materia che trattiene il gesto e lo restituisce in forma muta.

Quest’opera fa parte della serie Resti d’Infanzia, dove il tessuto diventa metonimia di ciò che un tempo era: protezione inconscia, rifugio, un senso di appartenenza senza parole. Due elementi separati, come i ricordi, come i corpi. Eppure ancora in relazione.

Scultura come scavo: non per rivelare ciò che è visibile, ma per portare alla luce ciò che ha lasciato un segno.

 

 

ARCHIVIO/ARCHIVE

ARCHIVIO
2008

 

2008 installation Drawings on paper Metal Variable size structure archive variable dimensions Hicetnunc 2005 San Vito al Tagliamento Elena Armellini
2008 installation
Drawings on paper
Metal
Variable size structure
archive variable dimensions Hicetnunc 2005 San Vito al Tagliamento Elena Armellini

 

 

In un’epoca in cui la materia sembra dissolversi nel virtuale, Archive cerca di restituire peso, consistenza e silenzio alle cose.
Cristalli trasparenti e pietre opache – reali o evocate – diventano segni di una conoscenza geologica e interiore, dove ogni frammento trattiene il tempo come una lente fossile.

L’installazione si dispiega attraverso due gesti complementari.

Nel primo, i disegni si accumulano come fasci, come campioni raccolti durante viaggi dimenticati. Si stratificano sul muro, mappando una materia instabile, un archivio visivo di forme lucide o opache, levigate o fratturate. Un atlante intuitivo, dove il nord è tracciato dal modo in cui la luce si rifrange.

Nel secondo gesto, i disegni sono perforati e impilati su punte metalliche affilate, come fascicoli d’archivio o documenti esauriti. Qui, l’archivio diventa anatomico: tagliato, forato, ammucchiato. È un’indagine sul corpo del segno, sulla fine della sua funzione e sulla sua sopravvivenza come reliquia o detrito.

L’archivio è uno spazio sia materiale che mentale, dove ogni forma conserva una temperatura, una vibrazione, un’eco.
Non esiste un sistema: solo raccolta.
Non esiste un catalogo: solo tempo.

BIOGRAFIA 

BIOGRAFIA

Elena Armellini

Nata a Venezia nel 1982, si è laureata in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Durante gli studi ha maturato esperienze internazionali, tra cui una residenza a Vienna come borsista del Programma Europeo Leonardo Mobilità, collaborando con Art for Art, azienda specializzata in scenografie teatrali.

Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero, tra cui Re: Public alle Tese dell’Arsenale (Venezia), Generazioni 2 a Cordovado (Pordenone), Nacht und Nebel all’Alte Kindl Brauerei (Berlino) e Viaggio a Nord Est 2 a Lendava, in Slovenia.

Nel 2016, la sua opera Dindarolo è stata esposta alla XXI Triennale di Milano, nella mostra W. Women in Italian Design, curata da Silvana Annicchiarico con allestimento di Margherita Palli.

Dal 2017 è docente di Decorazione presso il Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Dal 2009 vive e lavora tra Venezia e Berlino.

RIFUGIO/REFUGE

RIFUGIO

Rifugio dorato scultura ceramica Elena Armellini

 

Non tutti i luoghi chiamati “rifugio” lo sono davvero. In alcuni, si è più esposti che protetti. Il linguaggio conserva il nome, ma il gesto che un tempo lo fondava si è perduto. Questa distanza tra la parola e la cosa diventa il punto di partenza.

“Rifugio” deriva dal latino refugium, da re- (ritorno) e fugere (fuggire). Non indica semplicemente un luogo verso cui ci si dirige, ma un movimento che si arresta: la fine della fuga, il ritrarsi dell’essere.

In greco antico, la parola corrispondente è kataphygé, da kata- (verso il basso, profondamente) e phygé (fuga): una discesa nella fuga, un moto che si lascia cadere, che si affida a qualcosa che protegge.

In tedesco compaiono due termini affiancati: Zuflucht, una fuga verso qualcosa, e Refugium, parola più filosofica e intima — un luogo di ritiro e contemplazione. In italiano abbiamo conservato solo rifugio, mentre refugium sopravvive come traccia letteraria o spirituale.

I rifugi che costruisco in questa serie sono piccole strutture effimere, realizzate con materiali umili, trovati, recuperati. Sono modelli, ma non in senso architettonico. Sono tentativi di un gesto, tracce di un atto: quello del ritirarsi, del cercare protezione, del cercare un luogo in cui la fuga possa finalmente fermarsi.

Non sono case.
Non sono templi.
Sono tentativi.

Ogni rifugio è anche una domanda: esiste ancora, oggi, uno spazio in cui sia davvero possibile trovare rifugio?

Alberi Antichi

Dettaglio serie alberi secolari

 

Old Trees è un progetto ispirato agli alberi secolari.

Vengono denominati ingiustamente anche pianta monumentale. Termine riduttivo per questi giganti silenziosi,  molti dei quali spettatori di innumerevoli vicende storiche hanno visto l’uomo affannarsi alla continua rincorsa del progresso o mentre si annientava per l’ennesima guerra, loro restavano apparentemente immobili spettatori. Imperterriti fogliavano, radificavano e cambiavano il colore alle foglie.

La mia idea è dare evidenza a queste presenze sacre.

Si tratta di una serie limitata di opere realizzate in carta riciclata formata su stampo della corteccia secolare.

La corteccia dell’albero è come la pelle, ed è l’organo più esteso il più affascinante e che porta in evidenza ogni mutamento.

 

 

Vintage Style

 

 

 

Vintage style. Il concetto è semplice; vecchio design dei piatti una nuova immagine.

Il progetto e´molto semplice ho strappato alle pareti di Berlino la street art e l’ho incollato nei “vecchi piatti della nonna”. 

La ricerca di trasgressione che spesso gli street-artist invocano per l´importanza della loro arte, viene domata o meglio addomesticata ingabbiandola nei clichè antichi della tradizione domestica. 

Si crea un cortocircuito di stili che simboleggiano la realtä stilstica contemporanea. 

H2O

 

H2Opac è un assorbi-umidità: attraverso il traforo della calotta superiore lascia passare l’aria, che incontra i sali

posizionati sul vassoio interno. L’acqua contenuta nell’aria viene condensata e convogliata nel serbatoio sottostante.

Versatile, racchiude in un unico oggetto più funzioni, variando a seconda della stagione: in inverno portacandele, in

primavera centrotavola portafiori, in estate antizanzare, in autunno profuma ambienti.

H2Opac è stato realizzato interamente a mano, ogni singolo pezzo ha un decorazione diversa: l’artigianalità offre la

possibilità di infinite variazioni e personalizzazioni.

La colorazione bianca è una scelta precisa, per mantenere la purezza della forma di ogni singolo traforo e enfatizzarla,

così da permettere alla luce di scolpire naturalmente i volumi.

E’ disponibile anche con finitura interna colorata.

 

 

H2Opac is a moisture-absorbing: through the tunnel of the upper cap it lets air pass, which meets the salts
placed on the inner tray. The water contained in the air is condensed and conveyed to the tank below.
Versatile, it contains more functions in a single object, varying according to the season: in winter candle holders, in
spring centerpiece flowers holders, in summer mosquito repellents, in autumn it smells rooms.
H2Opac has been entirely handmade, each piece has a different decoration: the craftsmanship offers the
possibility of infinite variations and customizations.
The white color is a precise choice, to maintain the purity of the shape of each single tunnel and to emphasize it,
so as to allow the light to naturally sculpt the volumes.
It is also available with colored interior finish.

Memento

Memento

 

Memento bracciale in argento, realizzato con l´ausilio di stampa 3 d in rilievo con parti brunite e lucide.

Il decoro dei bracciali prende ispirazione dalle piante di alcuni edifici di importanza culturale.

Le piante degli edifici in epoche antiche nascondevano segreti esoterici e spirituali.

Il perimetro degli edifici e i muri sono le tracce che anche a distanza di anni restano impresse nel terreno.

Da questo pensiero e´nata la collezione “Memento”.

La pianta viene riportata a rilievo e lucidata sulla superficie del bracciale mentre la base viene trattata con la brunitura per conferire un aspetto antichizzato.

Di tutta la collezione “Memento” che raggruppa 8 bracciali ho realizzato con stampa 3d il bracciale “Colosseo” i restanti bracciali sono a livello progettuale.

Il bracciale “Colosseo” porta una struttura visivamente massiccia ma tuttavia leggera per evocare i polsini dei gladiatori che combattevano al interno di esso.

 

 

 

Silver bracelet, made with the aid of 3 d relief print with burnished and polished parts.
The decoration of the bracelets takes inspiration from the plants of some buildings of cultural importance.
The plants of the buildings in ancient times hid esoteric and spiritual secrets.
The perimeter of the buildings and the walls are the traces that even after many years remain impressed in the ground.
From this thought the “Memento” collection was born.
The plant is shown in relief and polished on the surface of the bracelet while the base is treated with burnishing to give an antique appearance.
Of all the collection “Memento” that groups 8 bracelets I made the “Colosseo” bracelet with the 3D print the remaining bracelets are at the design level.
The “Colosseo” bracelet has a visually massive yet light structure to evoke the cuffs of the gladiators.

 

 

 

Dindarolo

 

Dindarolo

Dindarolo fa parte della collezione di ceramica “Textil”,

il Dindarolo è un salvadanaio dalla particolare forma iconica.

Simile a una piccola borsetta, accoglie i risparmi di ogni giorno.

Si può appendere e rende magica la melodia delle monete raccolte al suo interno.

Il dindarolo è realizzato in ceramica bianca con una texture ottenuta da merletti, alcuni rilievi del merletto vengono colorati con engobbio. Il tutto viene smaltato con una seconda cottura con cristallina lucida.

Anno di progettazione: 2014

Materiali e provenienza: Ceramica di Nove

Luogo di ideazione: Venezia

Luogo di produzione: Venezia

Processo produttivo:

Colaggio in stampi e decorazione e engobbio.

 

 

Esposto a Opendesign 2015 

“W. Women in Italian Design” Triennale di Milano – Milano.